È davvero possibile conservare dei dati per centinaia di migliaia di anni? Probabilmente sì: una cosa che dura molto di più di hard disk, dvd e pennette USB gli scienziati l’hanno trovata niente meno che dentro le nostre cellule, ed è proprio il DNA. Il vantaggio di una simile operazione è che lo spazio impiegato è veramente ridotto. Per memorizzare ogni singolo bit di informazione il Dna impiega pochi atomi: è difficile immaginare un medium più compatto. Un solo milligrammo di Dna sarebbe sufficiente per memorizzare il testo di tutti i libri della più grande biblioteca del mondo, e avanzerebbe spazio. Come termine di confronto, per avere la stessa capacità di memoria insita in un grammo di Dna occorrerebbero circa 150 chili di hard disk. E va detto che si tratta anche di un medium particolarmente stabile. Le molecole di Dna possono rimanere per migliaia d’anni in un un contenitore a temperatura ambiente, senza alterarsi. Nessun tipo di memoria digitale è così affidabile.

La scoperta dello Swiss Institute of Technology nel 2013

Fin dal 2013 lo Swiss Federal Institute of Technology di Zurigo sta indagando sui modi per incrementare la longevità dell’acido nucleico fino ad arrivare alla possibilità di conservare informazioni addirittura per milioni di anni. Come sappiamo, la molecola di Dna è un lungo “nastro” sul quale possono essere scritte delle informazioni. Mentre nelle memorie digitali l’informazione è codificata in modo binario, come una serie di “0” e “1”, la codifica del Dna è quaternaria, facendo uso di quattro diverse basi (A, C, G e T). È semplicissimo convertire un codice binario in uno quaternario e viceversa; di conseguenza, qualunque informazione che può essere salvata su un hard disk può essere scritta anche su un filamento di Dna. Quindi la metodologia più semplice prevede la sostituzione dei caratteri 0 e 1 del sistema binario usato dai computer con le quattro lettere che compongono il DNA.  Nel momento in cui degli agenti esterni vengono a danneggiare però la sequenza, si creano inevitabilmente dei “buchi” nei dati: ecco perché Il dottor Robert Grass e i suoi colleghi di Zurigo stanno quindi mettendo a punto un sistema di “rattoppo” basato sul ricorso al codice Reed-Solomon, un tipo di codice inventato nel 1960 da Irving S.Reed e Gustave Solomon del Massachusetts Institute of Techonology.

Il Dna come e-book (Harvard 2013)

Sempre nel 2013 abbiamo un’altra importante scoperta: il genetista George Church con il team da lui guidato sono riusciti a memorizzare un e-book su un piccolo frammento di DNA, per poi riuscire a recuperarlo. Hanno infatti memorizzato 70 miliardi di copie di un ebook da 300 pagine con numerose illustrazioni e un software allegato, dal peso di 700 Kb su dei piccoli frammenti di DNA (inserendo all’inizio di ogni frammento i dati per la loro indicizzazione, quindi anche se i frammenti vengono disposti alla rinfusa, sarà sempre possibile riordinarli per ricomporre i dati in loro contenuti).

I sonetti di Shakespeare “in formato Dna”

I ricercatori dell’Istituto Europeo di Bioinformatica (EMBL-EBI) in Gran Bretagna hanno annunciato su Nature di avere memorizzato 700 kb di informazioni in forma di filamento sintetico: 154 sonetti di William Shakespeare, la traccia audio del celebre “sogno” di Martin Luther King, qualche foto del loro istituto e l’articolo di Watson e Crick con cui, sessant’anni fa, i due descrissero per la prima volta le eliche del Dna.

Il Dna come album di foto

Un’equipe di ricercatori della University of Washington sono riusciti recentemente a memorizzare Quattro immagini digitali in poche gocce di una soluzione che contiene molecole di dna. Gli scienziati hanno anche mostrato di essere in grado di accedere in modo estremamente semplice e veloce ai dati memorizzati. La risposta sta in un sistema chiamato accesso diretto, o anche accesso random, che fa uso di un particolare algoritmo di compressione, la cosiddetta codifica di Hufmann, che, a sua volta, crea un albero binario dei simboli corrispondenti ai dati memorizzati, inserendoli in una lista ordinata facile da scorrere. Al momento, comunque, la tecnica è ancora altamente sperimentale.

Un hard disk assai costoso

Visti questi risultati verrebbe da chiedersi: come mai queste strabilianti pennette USB genetiche non sono ancora in vendita?
Il problema sta nel prezzo della pratica d’archivio, che ben pochi potrebbero permettersi: un paio di anni fa, secondo le stime dell’Istituto Europeo di Bioinformatica , memorizzare un megabyte di dati su DNA sarebbe costato più di 12mila $, più altri 200 $ ogni qualvolta si fosse voluto rileggere le informazioni archiviate. E i costi non sono tuttora scesi di molto.