Recentemente è stato reso noto che Twitter ha messo a punto un sistema in grado di individuare, analizzare e distruggere i vari bot on-line, grazie al cd. Dna Digitale. Andiamo con ordine:
Cosa sono i BOT?
Il bot (abbreviazione di robot) in terminologia informatica in generale è un programma che accede alla rete attraverso lo stesso tipo di canali utilizzati dagli utenti umani (per esempio che accede alle pagine Web, invia messaggi in una chat, si muove nei videogiochi, e così via). Programmi di questo tipo sono diffusi in relazione a molti diversi servizi in rete, con scopi vari ma in genere legati all’automazione di compiti che sarebbero troppo gravosi o complessi per gli utenti umani. Nei paesi anglosassoni, con “Bot” s’intende un programma autonomo che nei social network fa credere all’utente di comunicare con un’altra persona umana. Questi bot migliorano di anno in anno ed è sempre più difficile distinguere un bot da una persona umana. (definizione tratta da Wikipedia)
Ci sono i bot utili, come quelli usati in emergenze di protezione civile oppure gli honey bot, esche per agganciare i pedofili. Il rovescio della medaglia è che chiunque può creare un bot e per qualunque fine. I bot servono a diffondere un marchio, le agenzie di social media marketing ne fanno ampio uso. Un flusso di informazioni manipolabile e manipolato. Ma come? I bot sono largamente usati addirittura in politica per costruire e mostrare al pubblico un consenso che in realtà non esiste, o per fare cd. tweet bombing contro un politico: due o trecento fake che con i loro post fanno sì che una massa critica di opinione pubblica sia contro di lui. Quello che consegue è una sorta di ‘effetto alone’: se vedo che un tweet ha un elevato numero di like, non solo sono portato a leggerlo, ma lo leggo con più attenzione e tendo a dare credito all’opinione espressa in quel tweet, arrivo addirittura a retwittarlo per entrare a far parte di quel gruppo “dominante”. Ma un ambito così delicato come è regolamentato? Alcuni social media stragetists (una nuova figura professionale) sostengono che qualunque attività di automazione sui social network dovrebbe prima essere autorizzata dalla piattaforma con un accordo specifico, e che in molti social network le regole ci sono già (ad esempio Twitter vieta la creazione di un profilo falso, inoltre non si può creare un bot che fa centinaia di retweet o che in qualche modo amplifica un messaggio). Ma è anche vero che tutto il resto viene fatto fuori dalle regole, in maniera illecita ed occulta: i software che in rete simulano in tutto e per tutto il comportamento umano si stanno evolvendo a tal punto da essere irriconoscibili e lo saranno sempre di più.
La soluzione contro i fake/bot? Il DNA DIGITALE
La soluzione a questi fake, che continuano a proliferare, è nel “Dna digitale“, in grado di dirci se abbiamo a che fare con un essere umano o con un bot.
In che cosa consiste il Dna Digitale?
Il Dna, la molecola sulla quale si fonda la vita, è costituita da due stringhe, avvolte l’una intorno all’altra a doppia elica, tenute unite da da altre molecole più piccole, chiamate nucleotidi. I tipi di nucleotidi sono quattro, e si chiamano adenina, citosina, guanina e timina. Le combinazioni di queste molecole consentono di conservare l’informazione genetica, proprio come fa un personal computer con il codice binario, soltanto, questa volta, le basi non sono due (0 e 1), ma quattro (nucleotidi). In questo modo è semplice comprendere l’analogia che c’è tra un PC, la cui informazione viene custodita nell’hard-disk, e un computer a DNA, il quale mantiene l’informazione all’interno del DNA stesso.
Nello specifico si tratta di applicare il pensiero biologico-evolutivo al calcolo digitale. Com’è noto, secondo Darwin, le specie si evolvono in funzione dell’ambiente e delle necessità. Oggi i biologi molecolari sanno che questa evoluzione è determinata da errori casuali, che si presentano nel DNA, in seguito alla mutazione della sequenza nucleotidica. Naturalmente tutto questo avviene con un ritmo molto lento, e solo con il passaggio di milioni di anni si possono notare gli effetti. È questo il pensiero biologico a cui deve essere ispirato il calcolo digitale, che viene effettuato dagli algoritmi evolutivi, chiamati così proprio perché sono quelli che hanno determinato l’evoluzione delle specie, in particolare gli algoritmi genetici. (Per approfondimenti, molto interessante è il famoso esperimento di Montagnier sul Dna digitale, con il quale si prova che le reazioni biochimiche sono governate da segnali elettromagnetici e le reazioni chimiche non avvengono per incontri casuali:https://www.scribd.com/doc/20711589/Electromagnetic-Signals-Are-Produced-by-Aqueous-Nano-Structures-Derived-From-Bacterial-DNA-Sequences-Luc-Montagnier)
Cosa hanno ideato di nuovo?
Nel caso in esame si tratta di un software, messo a punto da un team di ricercatori del Cnr di Pisa, che potrà analizzare il comportamento dell’utente su twitter con una tecnica usata dalla bioinformatica nel sequenziamento del Dna umano. Un sistema capace di scovare i bot più raffinati e di ultima generazione, molto più accurato e veloce rispetto ai vecchi metodi utilizzati fino ad ora. Ad ogni tipo di azione eseguita dall’utente è stata assegnata una base, cioè una lettera: nel caso di Twitter ogni tweet, retweet, like o commento corrisponde a un’azione, la sequenza di azioni dà luogo a una sequenza di caratteri, proprio come avviene con le stringhe del Dna. Analizzandoli in gruppo, è possibile far emergere i bot dagli umani perché i bot risultano avere sequenze simili, un codice genetico comune e digitale, ben diverso da quello degli esseri umani.
Quali altre finalità del Dna digitale? Come tecnologia anti-contraffazione
La contraffazione sta diventando una pratica sempre più sofisticata, che abbraccia un numero crescente di categorie, dalle medicine alla pasta, dalla cosmesi ai fertilizzanti. È un problema globale, ed una delle risposte più innovative per contrastarlo è proprio il Dna digitale, che in questo caso consiste in un servizio di verifica per proteggere l’autenticità e la qualità dei prodotti, a cominciare dal cibo e dalla moda.
Come funziona? Ad ogni articolo, che si tratti di un bottiglia di vino, di un abito o di una borsa, viene abbinato un codice, sotto forma di una stringa numerica, univoca e non sequenziale, una sorta di identità virtuale.
Esso è un numero composto da 12 cifre che contiene un ampio numero di informazioni relative al prodotto, che ne identificano ad esempio i componenti, il luogo e la data di produzione, i mercati di destinazione e così via, rendendolo unico e originale, proprio come il Dna identifica ciascun essere vivente. Il consumatore che compra il prodotto così «marchiato», può verificarne immediatamente l’autenticità inviando un Sms con il codice, con una telefonata o una video chiamata oppure attraverso Internet, grazie a una piattaforma tecnologica che integra tutti questi sistemi di comunicazione con una banca dati centralizzata. Ogni azienda può scegliere quante e che tipo di informazioni inserire, così come quale tecnologia usare per «marchiare» i prodotti. Il codice può essere infatti applicato all’articolo con una comune etichetta di qualsiasi materiale e forma; attraverso il codice a barre; oppure combinando altre tecnologie anticontraffazione, come ad esempio un bollino olografico o un Tag Rfid (l’acronimo sta per Radio Frequency Identification), una tecnica che, grazie ad un chip, letto ad alta frequenza, permette l’identificazione automatica e a distanza di oggetti, animali o persone grazie a lettori ad hoc.