Recentemente si sente parlare quasi ogni giorno di crimini commessi per le ragioni più disparate, e sempre più spesso nella ricerca della soluzione o dei moventi, visti gli interrogativi sulla capacità di intendere e di volere, sta acquisendo un ruolo fondamentale la componente biologica e genetica anche.

È prassi quotidiana oramai sentir parlare di  geni: ne parla la gente comune, affascinata dall’argomento, ne parlano i media, ne parlano gli organi di governo.La genetica ha infatti modificato le nostre vite. Parte della dottrina, soprattutto americana, ha elaborato, proprio per queste caratteristiche uniche e peculiari dei dati genetici, la teoria del genetic exceptionalism, in base alla quale le informazioni genetiche presentano delle caratteristiche eccezionali rispetto alle altre informazioni, tanto da meritare una disciplina “personalizzata” e specifica.

Questo ha portato alla teoria del determinismo genetico, ovvero la convinzione, assai diffusa, che il destino dell’uomo sia scritto nei suoi geni. Le ricerche sul Genoma Umano sono state spesso amplificate e distorte e presentate come «la fase culminante della ricerca del Graal biologico», hanno quindi creato aspettative molto forti a proposito delle possibili applicazioni di cura, sulla base della credenza che tutto fosse riconducibile ai geni. L’idea di una determinazione causale (genetica) della vita umana, si trova espressa in enunciati del quotidiano, attraverso espressioni (che ricorrono nei giornali e nei media) quali :”trovato il gene di…”, “la malattia causata dal gene…”, “scegliamo le amicizie in base al nostro DNA..”, e tante altre, in modo particolare vengono quindi create delle relazioni causali dirette tra geni e comportamento umano (è attualissima la nascita della cd. genetica comportamentale).[1]

Un esempio pratico di questa concezione è l’introduzione del concetto di “vulnerabilità genetica”,

utilizzato per la prima volta in una recente sentenza della  Corte d’Assise d’Appello di Trieste, la quale ha concesso uno sconto della pena a carico di un uomo, omicida, motivando la decisione sulla base di un’indagine cromosomica: i giudici hanno riconosciuto in capo all’autore del reato un’incapacità di intendere e di volere (e, dunque, un minore grado di imputabilità), sul presupposto di una sua “vulnerabilità genetica”: il reo sarebbe infatti  geneticamente predisposto alla violenza.[2] Questa prospettiva sembra essere quindi molto diffusa, non solo negli ambiti scientifici e bioetici, ma anche giuridici.

Un ennesimo caso unisce invece la genetica con le neuroscienze.

Il caso Albertani: genetica, neuroscienze e propensione al crimine

SENTENZA ALBERTANI, sent. del Gip di Como , 20.05.2011

La vicenda

nel 2009 in provincia di Como S.A. viene arrestata in flagranza di reato mentre tentava di uccidere la madre; le forze dell’ordine irrompono in casa e riescono a fermarla in quanto sottoposta ad intercettazioni ambientali. C’era  infatti il forte sospetto che fosse stata lei ad ammazzare  e poi a far sparire la sorella.

In seguito a delle indagini approfondite è emerso un quadro molto complesso, per cui l’imputata viene chiamata a rispondere di sequestro di persona ed omicidio della sorella (preceduto da somministrazione di benzodiazepine), nonchè dei reati di soppressione e distruzione di cadavere, utilizzo indebito di carte di credito (appartenenti alla sorella deceduta), e ancora, procurata capacità di intendere e di volere al padre (procurata attraverso la somministrazione di droghe e medicinali), tentato omicidio di entrambi I genitori (aveva cercato di far esplodere la loro auto), e tentato omicidio della madre.

Tralasciamo il tema dell’accertamento di dell’imputabilità e la relativa individuazione del concetto di infermità mentale ex artt. 88 e 89 cp.. (si veda sentenza Raso n. 9163 dell’8 marzo del 2005 che ha chiarito la portata applicativa del vizio dell’infermità di mente, secondo la quale  nella nozione di infermità penalmente rilevante possano rientrare pure i disturbi della personalità). In definitiva, possono costituire causa di esclusione o di limitazione dell’imputabilità anche anomalie del carattere di tipo non patologico, a condizione, però, «che il giudice ne accerti la gravità e l’intensità, tali da escludere o scemare grandemente la capacità di intendere e di volere, e il nesso eziologico con la specifica azione criminosa»[3].

Altrettanto interesse suscitano gli studi di biologia molecolare e di genetica comportamentale, volti ad individuare rispettivamente il genoma umano e l’influenza del patrimonio genetico sul comportamento e sulla personalità dell’uomo. In particolare si ritiene che un’influenza sul comportamento criminale potrebbe essere esercitato da un tipo di geni, c.d. di suscettibilità, come il MAOA, nel senso che se pure non in termini assoluti, i soggetti che li possiedono, specie se sottoposti ad esperienze stressanti, hanno una probabilità maggiore di svilupparlo

 Il giudice ha riconosciuto l’esistenza di un vizio parziale di mente –e, come tale, idoneo a giustificare una diminuzione della pena (ha condannato S. A. a  20 anni di reclusione)–anche sulla base delle risultanze derivanti da uno studio sul soggetto reo svolto attraverso lo strumento del c.d.imaging cerebrale. La decisione è stata supportata oltre che su accertamenti psichiatrici tradizionali, anche su analisi neuroscientifiche, che hanno rivelato la morfologia del cervello e il patrimonio genetico dell’imputata

Cos’è la tecnica dell’imaging cerebrale

L’imaging cerebrale (o neuroimaging)  è una sofisticata tecnica di visualizzazione del ramo celebro – encefalico – spinale, operante attraverso l’analisi computerizzata del tracciato EEG, che realizza una mappatura selettiva dell’attività elettrica  presente in determinate aree mediante l’utilizzo di varie tecniche. Attraverso tali tecniche è possibile osservare, in modo diretto, l’estrinsecarsi dell’attività celebrale nel corso di una stimolazione emotiva o durante la risposta comportamentale in condizioni fisiologiche predefinite. In particolare, l’osservazione delle reazioni del corpo amigdala in rapporto alle determinate situazioni psichiche, cognitive ed emotive consentirebbe di valutare l’esistenza di possibili deviazioni patologiche.

Inoltre, la tecnica dell’ imaging celebrale appare idonea a determinare una modifica nello stesso concetto giuridico di infermità mentale in quanto, «nel cervello del soggetto sano e in quello del soggetto disturbato queste funzioni opererebbero in modo diverso, per cui il secondo non riuscirebbe a bloccare le risposte automatiche. Accade, pertanto, che soggetti con un lobo frontale mal funzionante possano più facilmente commettere illeciti, anche se non esposti ad ambienti particolarmente sfavorevoli, ovvero che, in presenza di una certa componente genetica, eventi traumatici possano generare reazioni aggressive altrimenti non verificabili.

Nel caso in esame ha  riconosciuto in capo all’imputata  un vizio parziale di mente «per la presenza di tre alleli sfavorevoli, ovvero alleli che conferiscono un significativo aumento del rischio di sviluppo di comportamento aggressivo impulsivo […] ed alterazioni nella densità della sostanza grigia, in alcune zone chiave del cervello, in particolare nel cingolo anteriore, un’area del cervello che ha la funzione di inibire il comportamento automatico e sostituirlo con un altro comportamento e che è coinvolto anche nei processi che regolano la menzogna, oltre che nei processi di suggestionabilità ed autosuggestionabilità e nella regolazione delle azioni aggressive» (Gip di Como, 20.05.2011, in Guida al Diritto (on line), 30 agosto 2011).

Qual’è il ruolo del giudice in tutto questo?

 La sinergia tra diritto e scienza deve tradursi nella collaborazione tra giudice e perito: mentre gli esperti «devono imparare ad usare una metodologia standardizzata, confrontabile, ripetibile e comprensibile dal giudice, accettando di rivedere eventualmente la propria formazione e impostazione, nonché di sottostare alle regole processuali» i giudici dovranno «essere disponibili ad acquisire nuove conoscenze nuove, estranee al sapere giuridico tradizionale, ma in tale prospettiva, il ruolo ricoperto dal giudice verrà a caratterizzarsi in modo diverso sulla base della diversa fase di giudizio considerata. Il tradizionale compito del giudice di peritus peritorum, da tempo messo in discussione e qualificato una mera “illusione”, viene, se Non superato, quantomeno reinterpretato, depurandolo «da ogni pretesa di autosufficienza per riviverlo in termini moderni». Un nuovo “ruolo”, allora per un giudice che sia garante dell’attendibilità delle prove scientifiche, e dunque supervisore dell’accertamento processuale.

Durante la diagnosi del disturbo mentale, il giudice dovrà assumere le vesti di “custode del metodo”, cioè di garante dell’attendibilità delle prove scientifiche e di supervisore dell’accertamento processuale. Egli sarà tenuto, pertanto, a verificare la consequenzialità e la ragionevolezza delle conclusioni rese dai periti, senza potersene discostare per ragioni intrinseche, legate a un diverso apprezzamento tecnico scientifico. Il sindacato è, dunque, innanzitutto puramente logico, e dovrà essere fondato innanzitutto sui noti principi di identità (A=A), non contraddizione (se A=A e B=B, A ≠B) e terzo escluso (se A=A e B=B, A e B ≠ C). Gli è inoltre consentito un giudizio di attendibilità, ad iniziare dalla competenza dell’esperto, sino al metodo impiegato, specie se innovativo. »

I parametri valutativi saranno quindi i seguenti: oltre ai criteri di “verificabilità”, “falsificabilità”, “sottoposizione al controllo della comunità scientifica”, “conoscenza del tasso di errore” e “generale accettazione nella comunità degli esperti”, la ricostruzione prospettata acquisterà maggiore o minore credibilità in rapporto “all’ampiezza, alla rigorosità e all’oggettività della ricerca”, al “grado di sostegno che i fatti accordano alla tesi”, alla “discussione critica che ha accompagnato l’elaborazione dello studio” e alla “attitudine esplicativa dell’elaborazione teorica”.

Una volta individuata la patologia psichica da cui è affetto il reo, la decisione sulla sua rilevanza penale richiede, da un lato, una più marcata attività di tipo giuridico e, dall’altro una più intensa collaborazione fra giudice ed esperto.

Spetta al giudice svolgere l’ipotesi contro il fatto, tipica operazione logico-giuridica, ma in tale accertamento dovrà avvalersi delle conoscenze tecniche elaborate dall’esperto, la cui ricerca dovrà essere stata preventivamente orientata agli elementi maggiormente consoni alla valutazione normativa. Il giudice, dunque, in questa fase guiderà l’opera del perito, fornendogli le nozioni giuridiche necessarie per individuare il proprio oggetto d’indagine.

Vizio totale o parziale di mente? La soluzione preferibile appare, probabilmente, quella di operare attraverso un approccio concreto, valutando, di volta in volta, la gravità del disturbo volitivo e le sue possibili conseguenze sulle facoltà cognitive del reo. Qualora entrambi gli aspetti possano dirsi compromessi in modo grave e incisivo si avrà un vizio totale di mente.

Per tornare al caso in esame, esso costuituisce ulteriore esempio di quanto peso abbiano acquisito le conoscenze neuroscientifiche e di genetica comportamentale all’interno del processo (nella sentenza si dichiara anche che «della perizia psichiatrica il giudice non può fare a meno visto e considerato che l’imputabilità di un soggetto può essere esclusa o grandemente scemata a cagione di un’infermità mentale […] Le conclusioni psichiatriche costituiscono un parere tecnico che non fornisce verità ma solo conoscenza, comprensione dell’accaduto e, nella vigenza dell’attuale quadro normativo, esercitano una funzione di supporto della decisione giudiziaria che è il prodotto di una valutazione complessiva, logica e coordinata delle emergenze psichiatriche e di quelle processuali […]

Una volta ottenuto l’ausilio della scienza psichiatrica che individua I requisiti biopsicologici di un’eventuale anomalia mentale, resta al giudice il compito di valutare la rilevanza giuridica dei dati forniti dalla scienza ai fini della rimproverabilità dei fatti commessi al suo autore, sulla base del complesso delle risultanze processuali e della valutazione logica e coordinata di tutte le emergenze»).

Le applicazioni di neuroscienze e genetica sono oramai entrate nel meccanismo del processo: per comprenderne l’importanza si pensi a come, attraverso speciali apparecchiature, si valuta la veridicità di testimonianze o confessioni, o come, attraverso la prova del DNA, vengano accertati molti delitti ed addirittura scagionati (anche dopo anni) degli innocenti.

La sentenza del Gip di Como non appare discostarsi dalle indicazioni più recenti della giurisprudenza di legittimità, avendo fatto un uso delle conclusioni degli esperti non in modo acritico e passivo, ma in modo consapevole e dettagliatamente motivato.

Polis genetica e crimini a base genetica

Dunque, l’ennesimo esempio di come una nuova realtà sociale e giuridica sta nascendo, e sta  seguendo gli sviluppi delle bioscienze e delle biotecnologie, coinvolgendo la stessa natura umana. Una visione criminologica più che lombrosiana, una nuova forma di biopolitica focaultiana: una polis genetica dove la scienza gioca un ruolo fondamentale, ed il diritto la segue.

Il timore è il seguente: fin ad ora, in seguito ad approfondimenti scientifici, si è assistito a “semplici” riduzioni di pena (Como e Trieste); ma chi ci dice, ad esempio,  che in un futuro non troppo lontano un individuo, geneticamente programmato, riesca a sfuggire ad un’imputazione,  per un fatto penalmente illecito commesso, in quanto ritenuto dalla scienza non responsabile?

[1]             Si riportano degli esempi:

                        – Amore a prima vista? Questione di geni. Il colpo di fulmine esiste e può essere spiegato in termini di imprinting genetico, di Alessandra Carboni, dal Corriere della Sera, 8 aprile 2009. Secondo quanto emerso da uno studio condotto da scienziati americani ed australiani (pubblicato nella rivista Genetics), l’alchimia di una coppia sarebbe in realtà una sorta di compatibilità genetica. I ricercatori sono arrivati a questa conclusione studiando i moscerini della frutta, notando che le femmine, al momento dell’accoppiamento, tendono a prestare maggiore attenzione ad alcuni maschi e non ad altri, e cioè i partner geneticamente simili a loro

                      – La dieta perfetta con il DNA. I geni svelano cosa mangiare, di Adriana Bazzi, dal Corriere della Sera, 13 ottobre 2009. Si tratta della “G-diet”, la dieta fatta su misura in base ai geni di un individuo, e messa a punto a Trieste, dal prof. Paolo Gasparini, genetista dell’Ospedale Burlo. Tale dieta valuta globalmente una ventina di geni, fra cui due del gusto ed altri che hanno a che fare con varianti del metabolismo. Il kit è stato brevettato e messo in commercio con il nome di G – Profile e prevede: il test per la saliva, il prelievo orale con un bastoncino di cotton fioc (e con questo verrà analizzato il profilo genetico del soggetto), un questionario da compilare

                – L’attitudine alla musica? E’ una questione di geni, di Ruggiero Corcella, dal Corriere della Sera, 3 marzo 2011. Pare che dietro la propensione umana alla musica vi sia una variante del recettore del vasopressore arginina (AVPR1A)

                 – Brain chemical influences sexual preference in mice, by Laura Sanders, in http://www.sciencenews.org/view/generic/id/71586, 23 marzo 2011. La serotonina influenza i comportamenti sessuali dei topi femmina e, se iniettata nei topi maschio, è in grado di modificare i loro orientamenti sessuali

                 – Chi ha i capelli rossi sente più dolore, dal sito internet dell’Agenzia ANSA(Ansa.it), 26 marzo 2012: una ricerca inglese sostiene che chi ha i capelli rossi non solo ha la pelle più sensibile, ma sente maggiormente il dolore fisico. I capelli rossi sono risultati di una variante genica

                 – Essere ottimisti è un affare, di Edoardo Camurri, dal Corriere della Sera, 2 aprile 2012. La scienziata Tali Sharot sostiene che l’uomo è ottimista in quanto biologicamente costruito per esserlo, è quindi legato tutto a dei geni specifici che consentono perciò di vivere più a lungo e trascorrere una vita più “felice”

                     – Scoperto gene che azzera istinto materno, dal sito internet dell’Agenzia ANSA  (Ansa.it), 17 settembre 2012. Identificato nei topi, si chiama Er Alpha, ed è attivo nell’area del cervello che controlla anche aggressività e sessualità

                   – L’intelligenza dipende dai geni? Ci pensa la Cina, di Mauro Giacca, da Il Piccolo, 2 luglio 2013. Il Beijing Genomic Institute sta sequenziando il genoma di individui dal Quoziente Intellettivo (QI) superiore a 150 (un valore che supera quello di alcuni Premi Nobel), allo scopo di identificare le varianti genetiche associate all’intelligenza umana

                  – The pursuit of happiness. Researchers have struggled to identify how certain states of mind influences physical health. One biologist thinks he has an answer, by Jo Marchant, in Nature, vol. 503, 28 novembre 2013, in cui si spiega che fra i 22.000 geni presenti nell’organismo umano ve ne sono alcuni che vanno a codificare particolari proteine le quali influenzano la nostra “positività” / felicità, e quindi la sensazione di benessere

                  – The accidental epigenetist, by Stephen S. Hall, in Nature, vol. 505, 2 gennaio 2014, che racconta uno studio americano effettuato su alcuni bambini ed adolescenti estremamente aggressivi e violenti: questo può essere determinato dai geni

                    – Capelli biondi e occhi azzurri scritti nel DNA, di Mauro Giacca, da Il Piccolo, 10 giugno 2014. «Sono almeno una decina i geni che controllano il colore della pelle; di questi, le variazioni di Tyr ed Slc45a2 controllano la sintesi della melanina e la presenza di lentiggini ed Herc2 il colore dell’iride. […] Ancora più interessante, la questione del colore dei capelli. […] L’analisi del DNA di decine di migliaia di individui ha rivelato che il colore dei capelli è determinato dalle variazioni di 8 geni. Come funziona una di queste è descritta in un articolo pubblicato da Nature Genetics […]Studiando gli individui biondi di Islanda ed Olanda hanno trovato che il loro DNA porta ad una variazione che regola il gene Kitgl, essenziale per la funzione di molte cellule staminali , incluse quelle che sintetizzano la melanina dei capelli. Topi ingegnerizzati per contenere questa variante nascono con il pelo biondo.»

                      – Genetica dell’amicizia: scegliamo chi è simile a noi, di Edoardo Boncinelli, dal Corriere della Sera, 15 luglio 2014

[2]             Sentenza n. 5 /2009 pronunciata dalla Corte d’Appello di Trieste il 18 settembre 2009

[3] nella nozione di infermità penalmente rilevante possono rientrare non solo i mutamenti della psiche dovuti a malattie e patologie biologicamente tracciabili, ma anche i disturbi della personalità caratterizzati da particolare forza ed incisività, qualora il giudice ne accerti la gravità e l’intensità, tali da escludere o scemare grandemente la capacità di intendere e di volere, e il nesso eziologico con la specifica azione criminosa]Il tema dell’accertamento dell’imputabilità, in caso di infermità mentale, è assai controverso, soprattutto perché coinvolge la complessa relazione che intercorre fra scienza e diritto, ed anzi, l’esigenza di fondare la condanna su prove certe e connotate da validità scientifica si è rafforzata soprattutto con la legge n. 46 del 2006 (che andò a modificare, in parte, l’art. 533 c.p.p disponendo che : «il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio»).