Il Tribunale di Roma, con sentenza del 10 maggio 2016, ha rigettato la domanda di una coppia  che  vantava un diritto di genitorialità genetica  di due bambini nati a seguito di uno scambio di embrioni nel corso di una PMA.

Il diritto a procreare artificialmente: un diritto tipico dell’età della tecnica. Con l’espressione PMA ci si riferisce a quel fenomeno comunemente conosciuto anche con il nome di fecondazione artificiale, che può essere sinteticamente definito come l’insieme delle tecniche mediche che consentono di dare luogo al concepimento di un essere umano senza la congiunzione fisica di un uomo e di una donna, operando all’interno (fecondazione artificiale intracorporea o in vivo) oppure al di fuori (fecondazione artificiale extracorporea o in vitro /in provetta) delle vie genitali della donna e impiegando gameti appartenenti alla stessa coppia o gameti di donatori esterni.

Il caso

Si riporta di seguito un caso molto delicato, che riguarda uno scambio involontario di embrioni avvenuto, nel 2014, all’ospedale Pertini di Roma: gli embrioni di una coppia, che si era rivolta alla struttura sanitaria per un intervento di fecondazione omologa, sono stati per errore impiantati nell’utero di un’altra donna (la quale si era rivolta, insieme al marito, alla medesima struttura per un tipo di fecondazione analoga) che è quindi rimasta incinta portando avanti una gravidanza gemellare (con figli però non geneticamente suoi); si sottolinea anche che, la donna “proprietaria / generatrice” degli embrioni e vittima dello scambio ha subito invece una serie di interventi che non sono andati a buon fine, e non è riuscita a rimanere incinta.[1] I genitori genetici presentavano quindi ricorso d’urgenza per risolvere la questione prima del parto e prima che avvenisse la registrazione dei due bambini presso l’anagrafe (per evitare così che venissero dichiarati figli altrui con atto pubblico): dal loro punto di vista, «l’ambiente gestazionale non influisce sullo sviluppo del feto. Il fatto cioè che i gemellini, un maschio e una femmina, siano stati alimentati per nove mesi dalla donna gestante, insomma, non cambia la loro identità naturale. E a proposito del concetto di identità, l’avvocato […] chiamerà in soccorso non solo i diritti della personalità riconosciuti dalla Costituzione, ma anche l’articolo 8 della Cedu, la Carta europea dei diritti dell’uomo, che recita: «Il diritto di conoscere la propria ascendenza rientra nel campo di applicazione della nozione di vita privata, che comprende aspetti importanti dell’identità personale di cui fa parte l’identità dei genitori”. Solo la genitorialità genetica permette di tutelare il diritto all’identità personale di cui saranno titolari i figli – c’è scritto nel ricorso d’urgenza presentato dal legale dieci giorni fa – e in particolare il diritto a conoscere le proprie origini biologiche. Infine, in questo caso, certo non può valere “l’antico brocardo: mater semper certa est “»[2].

La coppia gestante invece, convenuta, faceva leva sul concetto di “epigenetica”: «i genitori biologici affermano che i due gemellini possiedono il loro DNA, giusto? Ma […] il ruolo fondamentale è quello della madre naturale, che assicura al bambino protezione e alimento. È questa trasmissione di natura a trasformare nel tempo il DNA. […] Insomma, pensate alla differenza che c’è tra scrivere un libro e leggerlo. Chi scrive un libro gli trasmette senz’altro il suo DNA. Ma poi il libro appartiene a chi lo legge, perché chi lo legge lo trasforma attraverso il suo filtro personale di emozioni ed umori. Ecco, questa è l’epigenetica»[3]

I gemelli nacquero prematuri prima che si svolgesse l’udienza, vennero perciò immediatamente registrati all’anagrafe ed il giudice stabilì che essi fossero assegnati alla madre che li aveva partoriti, facendo prevalere quindi il valore della gestazione su quello genetico. Nel frattempo, il Tribunale di Roma rigettava il ricorso[4].

La sentenza della Corte EDU

I ricorrenti si rivolsero anche alla Corte EDU, lamentando la violazione dell’art. 8 della CEDU, poiché lo Stato italiano non prevede alcun tipo di garanzia per i genitori genetici in situazioni di tal genere: sostenevano che il loro diritto alla vita privata e familiare era stato leso a causa dello scambio di embrioni, la cui responsabilità dipendeva dal grave errore di una struttura sanitaria pubblica. Secondo la Corte EDU, tuttavia, il ricorso era inammissibile, poiché i ricorrenti non avevano in realtà esperito tutti i rimedi interni: in particolare, avrebbero potuto richiedere un risarcimento per i danni subiti a causa della negligenza medica, oppure avrebbero potuto chiedere l’accertamento della responsabilità penale del personale sanitario che aveva commesso l’errore; avrebbero potuto svolgere anche una regolare istanza di accesso agli atti per ottenere dall’ospedale le informazioni riguardanti l’altra coppia, in caso di un eventuale silenzio dell’amministrazione, avrebbero potuto presentare un ricorso al TAR.[5]

L’ultima sentenza: il Tribunale di Roma – 10 maggio 2016

Recentemente, con sentenza depositata il 10 maggio 2016, il Tribunale di Roma ha definitivamente rigettato la domanda dei coniugi a cui appartenevano gli embrioni di disconoscimento di paternità e maternità, successivamente precisata in una richiesta di vedersi riconoscere la qualifica di padre e madre genetici, e chiedendo l’intervento della Corte costituzionale per modificare le norme attualmente esistenti che negano loro tale diritto.

Nella sentenza si legge che è principio assodato oramai che tutto il sistema normativo, sia nazionale sia internazionale, tende a stabilire, quale criterio per definire la stabilità della relazione umana come costituita da elementi quali la gestazione, il parto e l’inserimento dei nati in un preciso nucleo familiare, a prescindere dal legame genetico.

Ciò risulta in particolare:

  • dalle disposizioni codicistiche, secondo le quali: madre è colei che ha portato a termine la gravidanza (ex art. 269, comma 3 cc); l’art. 231 cc ricomprende nella presunzione di paternità anche i figli che, comunque concepiti, anche a mezzo di procreazione medicalmente assistita e fecondazione eterologa, siano nati nel matrimonio; l’art. 243 bis cc non conferisce alcuna legittimazione al padre genetico ai fini della proposizione di azione di disconoscimento della paternità, legittimazione tuttora riservata al padre, alla madre ed al figlio medesimo
  • dalle disposizioni della legge 40 del 19 febbraio 2004 in materia di procreazione medicalmente assistita e nello specifico dall’articolo 8, il quale riconosce, quale elemento decisivo ai fini dell’acquisto dello stato di filiazione per i nati da tecniche di PMA, l’impianto nell’utero materno, il procedere della gravidanza e la nascita, sottolineando in questo modo il valore decisivo della gestazione stessa; inoltre l’articolo 9, da una parte, indica quale madre cui è precluso il diritto all’anonimato la donna che ha partorito, così confermando che nell’impianto della legge è mantenuto fermo il legame tra parto ed identificazione della madre, pur in un contesto scientifico che ormai rende scindibili le figure della madre genetica e di quella uterina; dall’altra parte lo stesso articolo 9 preclude espressamente a colui che abbia prestato il proprio consenso alla fecondazione assistita di procedere al disconoscimento di paternità, come pure all’uomo che abbia messo a disposizione i propri gameti, di acquisire alcuna relazione giuridica parentale con il nato e di far valere nei suoi confronti alcun diritto;
  • dalla sentenza n. 162/2014 della Corte Costituzionale che ha caducato il divieto di fecondazione eterologa;
  • dalla giurisprudenza della Corte EDU con riferimento all’art. 8 CEDU, dalla quale emerge chiaramente come la Corte abbia sempre conferito valore determinante all’inserimento di fatto dei bambini in un determinato contesto familiare (v. sentenza Paradiso-Campanelli c. Italia, 27.1.2015, ric. 25358/2012).

Cosa chiedono gli attori:

Gli attori chiedevano venisse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’articolo 243-bis c.c. nella parte in cui non prevede la legittimazione del cd. padre genetico a proporre 1’azione di disconoscimento della paternità in caso di sostituzione di embrioni avvenuta nell’ambito di una procedura di fecondazione assistita, e a sua volta auspicavano che analoga questione venisse sollevata con riguardo all’articolo 269 comma 3 c.c. nella parte in cui non prevede, nel caso di sostituzione di embrione avvenuto nell’ambito della procedura di fecondazione medicalmente assistita, la possibilità di effettuare il disconoscimento di maternità; in entrambi i casi per contrasto con gli articoli 2, 3, 24, 30 Cost. e con l’articolo 117 Cost. in relazione all’articolo 8 CEDU.

Cosa risponde il Tribunale:

Tale passaggio, si legge nella sentenza, risulta ineludibile, dal momento che il riconoscimento della coppia attorea quali genitori genetici dei due gemelli avrebbe presupposto la rimozione dell’attuale stato di figli dei convenuti in capo ai due minori, e comportato la possibilità per il padre di accedere ad un’azione – disconoscimento di paternità – che non lo vede tra i legittimati, e per la madre di sperimentare un’azione – disconoscimento di maternità – che l’ordinamento non contempla affatto.

In altre parole, continua l’Autorità, la scelta preferenziale è per la prevalenza dei legami naturali, biologici e sociali, a scapito della genitorialità genetica: in primis vi è infatti l’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che  sancisce il rispetto della dimensione familiare e dei legami affettivi primari che si consolidano nel tempo. Vi sono inoltre valori di rango primario che prevalgono: l’interesse dei bambini (sancito dalla convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989); la tutela della dignità, dell’autodeterminazione e della salute della gestante, prerogative assolutamente in conflitto con la prevalenza delle origini genetiche e quindi la separazione dai minori dopo la nascita.

Il Tribunale, inoltre, non ritiene ravvisabili gli estremi per sollecitare un intervento additivo della Corte costituzionale, intervento che, tra l’altro, riguardo alla posizione della madre dovrebbe giungere addirittura ad inserire nel tessuto normativo un istituto oggi inesistente.

[1]  A fronte di ciò la regione Lazio ha richiesto al CNB un parere sulla questione. Le osservazioni preliminari ineriscono alla scissione fra madre genetica e madre gestante (e la conseguente scissione anche fra i due padri): se fino a qualche tempo fa il nostro Paese si basava sull’art 269 c.c. (che disciplina la maternità e stabilisce che questa è dimostrata «provando l’ identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, «la quale si assume essere madre»; ma in assenza della prova del parto «la prova della maternità può essere data con ogni mezzo»); con la fecondazione eterologa, che ora, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 162/2014 è consentita, possono venire ad esistere due figure materne, una genetica e l’altra gestazionale, con il riconoscimento giuridico a quest’ultima. Risulta chiaro che nel caso in questione si tratta di una fecondazione eterologa “errata”, priva dunque di qualsiasi consenso alla donazione di gameti ed al diritto all’anonimato. «Sebbene alcuni componenti del Comitato ritengano prevalente una linea argomentativa rispetto all’altra per varie ragioni, ognuno riconosce le motivazioni e le criticità di tutti, pertanto il Comitato ritiene in questa vicenda di scambio involontario di embrioni di non esprimere una ‘preferenza’ bioetica in merito alla prevalenza delle une o delle altre possibili figure genitoriali nella consapevolezza che qualsiasi sia la situazione in cui i bambini cresceranno, il dilemma etico resterà aperto; si aggiunga l’unanime consapevolezza del carattere drammatico e tragico delle vicende che qui vengono analizzate e della sofferenza umana che esse attivano. I genitori, i procreatori, i donatori sono titolari d’interessi etici e giuridici rilevanti, ma la loro tutela è subordinata rispetto alla realizzazione degli interessi del nato. La preminenza dell’interesse del minore è uno dei principi generali delle normative nazionali e internazionali nell’ambito della filiazione. In forza di questa clausola generale ne deriva che i diritti del minore sono posti in una posizione di preminenza rispetto a interessi e diritti riconosciuti ai genitori. I riferimenti normativi e giurisprudenziali in materia indicano un complesso di garanzie inviolabili e non negoziabili del minore da collegare nell’ambito dei diritti della personalità. I casi in questione, qualora suscitino conflittualità fra le coppie, saranno risolti di fatto dal giudice sulla base della normativa vigente, sebbene la soluzione dell’organo giudicante sarà resa più difficile, considerato che la vita prenatale dei bambini e le loro nascite sono il risultato di condizioni particolari, inserite nel contesto di un errore». Tuttavia il Comitato, muovendo dalla prospettiva dell’interesse dei futuri nati, i protagonisti più deboli della vicenda, avanza alcune raccomandazioni: a) il diritto dei nati ad avere due figure genitoriali certe di riferimento; b) la necessità che tali vicende siano affrontate con sollecitudine, in tempi in grado di consentire ai bambini condizioni familiari adeguate per una equilibrata e serena crescita; c) l’auspicio che le famiglie coinvolte siano in grado di accedere alla dimensione della responsabilità e della solidarietà nei confronti dei nati; d) il diritto delle coppie a conoscere l’errore ed il riconoscimento ai nati del diritto a conoscere le proprie origini (modalità di concepimento e di gestazione), attraverso filtri e criteri appropriati (come auspicato anche in un precedente parere del CNB del 2001 “Conoscere le proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assistita eterologa”); e)l’auspicio che vengano incrementate le regole e le misure di sicurezza del caso al fine di evitare qualsiasi tipo di errore. Il documento viene poi chiuso con le postille del prof. Francesco D’Agostino, del prof. Carlo Flamigni e della prof.ssa Marianna Gensabella, i quali prendono invece delle posizioni più concrete riassumendo ciascuno le proprie considerazioni personali. (Si rimanda ai due pareri del Comitato Nazionale per la Bioetica: Considerazioni bioetiche sullo scambio involontario di embrioni, 11 luglio 2014; id., Conoscere le proprie origini biologiche nella procreazione medicalmente assistita eterologa, 25 novembre 2011, entrambi reperibili sul sito http://www.governo.it/bioetica)

[2]  I gemelli contesi. Battaglia in aula, “Il DNA è nostro”. “Conta il grembo”, articolo de Il Corriere della Sera, 6 agosto 2014

[3]  I gemelli contesi. Battaglia in aula, “Il DNA è nostro”. “Conta il grembo”, id.

[4] I genitori ricorrenti (genetici), avevano adito il Tribunale di Roma, ex art. 700 c.p.c. chiedendo di essere dichiarati genitori dei gemelli o, in subordine, che gli stessi fossero affidati ad una struttura protetta. Tale istanza veniva rigettata (ord. 8 agosto 2014), e la richiesta di esercitare un’azione di disconoscimento di paternità veniva respinta in due momenti (ord. 22 aprile 2015 e ord. 2 ottobre 2015) la richiesta di esercitare un’azione di disconoscimento di paternità

[5] European Court of Human Rights, Second Section Decision, Application no. 41146/14, X and Y against Italy