Brevetti biotech
I geni sono brevettabili? A chi appartengono?
La mappatura del genoma umano ha avviato un acceso dibattito sulla brevettabilità dei geni umani. Il sequenziamento del genoma ha scatenato una corsa senza precedenti verso il “bottino genetico”: la capacità di isolare, identificare e ricombinare i geni rende per la prima volta disponibile un fondo di materie prime da sfruttare economicamente, tutte le multinazionali biotech e farmaceutiche si sono quindi preoccupate di vedersi riconosciuti, tramite lo strumento del brevetto, i diritti di proprietà intellettuale sulle varie sequenze genetiche utilizzate nelle applicazioni biotecnologiche. Brevettare un gene equivale a garantirsi il diritto di sfruttamento di qualsiasi terapia genica o farmacologica legato alla funzione del frammento di DNA per il quale si è ottenuto il brevetto stesso.
Ciò che ci si chiede è: è giusto che singoli geni possano ricadere nel monopolio di un’unica azienda?
A livello etico, la consapevolezza che il patrimonio genetico di una persona è in parte condiviso con altri familiari, delinea una responsabilità sia diacronica, verso le generazioni future, per quel che riguarda l’eredità genetica, sia sincronica di gestione dell’informazione genetica nei confronti di parenti che condividono lo stesso genoma.
Sicuramente la logica dello “scambio genetico” è esclusa da tutte le dichiarazioni internazionali, che sanciscono i divieti generali di fare del corpo umano, delle sue parti e del genoma stesso una fonte di guadagno. Sembra quasi che il mercato della domanda e dell’offerta sia entrato nel mondo della scienza: tessuti, sangue, cellule, dati genetici hanno oramai un valore ed un peso, sono diventati merce di scambio, vengono brevettati, venduti o comprati; il brevetto non serve più a tutelare la paternità scientifica della scoperta, bensì a garantire all’azienda titolare del brevetto lo sfruttamento commerciale esclusivo dei possibili impieghi delle sequenze genetiche. La brevettazione genetica e la commercializzazione del corpo (anzi delle sue parti che lo compongono) stanno cominciando a determinare una crisi nelle modalità della ricerca: lo studioso genetista diventa una sorta di brevettatore e scopritore di diverse miniere d’oro, per le quali poi avviene una vera e propria corsa all’acquisto, dimenticando perciò quello che era il rapporto medico – paziente e la finalità di cura; è come se la ricerca scientifica fosse stata “inquinata” dagli interessi economici di mercato (delle grandi aziende private).