Bioetica, genetica e biodiritto

Lo sviluppo delle bioscienze e delle biotecnologie ha portato alla nascita di nuove tendenze, per le quali il ricorso alla medicina non avviene più solamente per finalità curative, bensì per finalità migliorative–rigenerative. Nikolas Rose parla di un nuovo desiderio del sé: la vita è osservata e manipolata, tutti i suoi processi vengono scomposti, ricomposti e lavorati in laboratorio per eliminare anomalie indesiderabili ed ottenere quindi risultati desiderabili .

La tecnica può modificare il corpo, migliorarlo e potenziarlo, andando ad agire non solo in superficie (magari con innesti, impianti o altre operazioni chirurgiche), ma anche in profondità (con interventi chimici e genetici): la salute diviene quindi il risultato di una promessa mantenuta, mentre la malattia è una promessa non ancora mantenuta, o comunque come uno stato di privazione di ciò che è considerato il benessere sociale per tutta la collettività .

 

Un passaggio quindi dall’etica/ medicina curativa all’etica/medicina migliorativa, in cui tutto è possibile, niente è imperfetto.

Infatti, con la progressiva medicalizzazione della società, quelle che prima erano considerate normali reazioni emotive degli esseri viventi alle circostanze della vita sono state progressivamente convertite in stati di malattia, giustificando in questo senso la loro medicalizzazione ed il ricorso a farmaci e/o prescrizioni mediche, e garantendo sempre più nuove possibilità di cura, assistenza ed intervento: sono cambiate le concezioni “vivere bene, “stare bene”,  “stare male”, etc.


Stanno emergendo nuove percezioni della natura, della vita e del corpo stesso, ed «[…] il desiderio tende a sostituirsi progressivamente al bisogno, tradizionalmente mediato dal sotto sistema sanitario, consentendo all’immaginario soggettivo ed intersoggettivo d’agire con l’immaginazione del progettista […]» .

Ed il desiderio si sostituisce al bisogno attraverso la mediazione del sistema sanitario e quindi dello Stato. È proprio alla società Stato che si chiede sempre di più: è lo Stato che non può permettere che un’epidemia si diffonda, o che una malattia non possa essere curata od una vita non salvata, e la figura del medico qui svolge un ruolo da intermediario fra il privato cittadino e lo Stato.

Il cittadino chiede interventi generativi e rigenerativi sulla base dei suoi diritti di cittadinanza, sulla base di quella nuova logica di diritti che si sta via via delineando proprio grazie ai progressi delle bioscienze e quindi delle nuove condizioni societarie. Il termine inglese “to enhance” significa aumentare, migliorare. Lo “human enhancement” sta ad indicare, generalmente, il progresso delle capacità umane, il miglioramento delle funzioni naturali di una persona, attraverso la tecnica o la cultura. Nello specifico il termine è inteso «come uso intenzionale delle conoscenze e tecnologie biomediche per interventi sul corpo umano al fine di modificarne, in senso migliorativo e / o potenziante, il normale funzionamento»; nella lingua italiana il termine “potenziamento” indica “potenziare” o “rendere ancora più potente, forte, rafforzare, incrementare, accrescere”.

Nuovi poteri, nuovi soggetti, nuove libertà (riconosciute dal diritto) rendono difficile identificare l’individuo ed i suoi confini, con i suoi limiti e le sue responsabilità: è cambiato il concetto di libertà, è cambiato lo stesso concetto di persona fisica.

Queste nuove sensibilità sociali creano ovviamente squilibri all’interno di uno stato governamentale che si trova spesso costretto a costruire dei modelli giuridici artificiali: la biopolitica irrompe nelle nostre vite.

È per tali motivi che il diritto cambia ruolo e forma, fino quasi a perdere sé stesso, da instrumentum regni diviene instrumentum scientiae, il suo ruolo (quello che gli viene richiesto) è di legittimare tutto ciò che la scienza rende praticabile.