Polis genetica e società del futuro

Per Michel Foucault la biopolitica è una categoria gnoseologica di spiegazione dell’idea di sviluppo presente nell’età modera, dove sono iscritti vari saperi volti a razionalizzare i problemi posti dalle pratiche governamentali nei confronti delle popolazioni (pratiche concernenti la salute, il controllo sociale, l’igiene, la mortalità, le razze, la sessualità, ecc.). La biopolitica è un concetto storicamente determinato da costruzioni produttive e tecnologiche che consentono, oppure obbligano, la vita ad entrare nella storia. D’altra parte, la biopolitica non produce letteralmente la vita, ma interviene direttamente sulla vita consentendone le condizioni di mantenimento e sviluppo.

Se la biopolitica ha determinato l’instaurazione del dominio della specie umana sulla materia inerte, la rivoluzione scientifica in atto, anche in ragione dell’intensità con cui procede lo sviluppo delle bioscienze e delle biotecnologie, sta determinando l’affermazione del dominio sulla materia vivente.

Stiamo entrando nella città del gene. Polis genetica ovvero città – laboratorio dove progettare la struttura umana, sequenze e codici genetici; e città – arena per politiche, governi, singoli soggetti, norme, negozi giuridici e pratiche che intendono orientare, proteggere, modificare, aggiungere o sottrarre, valutare o giudicare le forme della vita. Non vi entriamo a causa di un processo di selezione naturale, ma in ragione d’opportunità e di scelte inedite.

Le opportunità sono offerte dallo straordinario progresso, avvenuto in un brevissimo arco temporale, delle bioscienze e delle biotecnologie. Le scelte discendono, respinti gli orrori dell’eugenetica statale, dalla selezione genetica fondata sulle libertà e sui diritti individuali. Gli oggetti e i nessi della biopolitica si stanno trasformando in nuovi scenari che non discendono solo dallo sviluppo delle bioscienze e delle biotecnologie, ma anche dalle frammentazioni delle identità nazionali e dalla globalizzazione dei mercati, dalla rimozione dei confini identitari nella dimensione soggettiva e intersoggettiva accompagnata dall’ebbrezza di realizzare, nel e attraverso il proprio corpo, un’utopia.

La polis genetica è una prospettiva che comprende i reciproci influssi della ricerca genetica sul comportamento umano e le prestazioni fisiche, le nuove terapie geniche e cellulari, la manipolazione degli embrioni e le ripercussioni di queste procedure in ambito sociale e individuale.

L’oggetto della polis genetica è la forma (struttura) del corpo. La forma non è solo l’insieme di corpo fisico e substrato psicologico e mentale (natura interna), ma è anche rappresentazione sociale. Da un lato, il potere governamentale biopolitico è in grado di modificare i movimenti del corpo, mentre, dall’altro lato, la polis genetica trae origine dalla capacità di mutare la forma del corpo. Le bioscienze nella forma del dominio sul vivente non si mostrano veramente nella biopolitica: quando lo fanno, sono già oltre la biopolitica e costituiscono la polis genetica.

Stiamo entrando nella città del gene.

Le dimensioni della polis genetica riguardano il piano epistemologico (modifica dell’episteme biopolitico), la concezione/interpretazione di salute e malattia (dal bisogno al desiderio), l’eugenetica (da sociale a liberale, con la previsione della creazione di nuove classi di cittadini su base genetica), il diritto (da forma dell’ordine giuridico a segno), la privacy (come forma di tutela dei beni genetici cercati e come possibile fonte di discriminazioni fra gruppi sociali messi o meno in condizione di acquisire tali beni e, dunque, privacy come separazione), la criminologia (nuove forme d’anomia, di devianza e di criminalità, dove possono essere distinti i biocrimini dai crimini a base genetica).

Le opportunità sono offerte dallo straordinario progresso, avvenuto in un brevissimo arco temporale, delle bioscienze e delle biotecnologie.